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Sanità: la grande fuga dei camici bianchi. Intervista sulla riforma del 118 al presidente Mario Balzanelli

Sanità: la grande fuga dei camici bianchi. Intervista sulla riforma del 118 al presidente Mario Balzanelli
(PRIMAPRESS) - ROMA - La nota al Documento di Economia e Finanza per il triennio 2024/2026 appena approvata dovrebbe prevedere un rilancio della sanità pubblica ma come e in che misura lo scopriremo nei prossimi giorni. Sta di fatto che, nonostante le buone intenzioni del ministro Schillaci, i ritardi accumulati per una articolata riforma del settore stenta ad arrivare. Intanto, come aveva denunciato di recente l’Anao, i concorsi per medici vanno deserti mentre gli ospedali vanno a caccia di specialisti. Insomma la crisi del medico pubblico si avverte e rischia di paralizzare il sistema. Sempre meno sono i medici disposti a indossare il camice bianco in Italia per eccesso di burocrazia, impoverimento delle strutture ospedaliere sia dal punto di vista tecnologico che strutturale ed infine per una retribuzione che spinge gli specialisti ad andare all’estero. È proprio di ieri un reportage delle Iene che mostrava il grande esodo verso strutture degli Emirati Arabi con centinaia di medici italiani attratti dalla modernità degli ospedali e da una retribuzione tre volte superiore a quelle del nostro paese. Queste ragioni e la lentezza con cui si sta affrontando il problema riguarda anche il Sistema 118, unico modello di emergenza sanitaria territoriale già da tempo in affanno. Ma quali sono le criticità di questo settore? Lo abbiamo chiesto in una intervista al Presidente nazionale del SIS 118, Mario Balzanelli. Perché la riforma legislativa del Sistema 118?
 Il Sistema di Emergenza Territoriale 118 (SET 118), a 31 anni dalla sua istituzione, merita di beneficiare di una riforma legislativa che riconosca, una volta per tutte, la  sua importanza salvavita. La lezione durissima impartita dalla pandemia, ed il contesto di alta instabilità e tensione internazionale, impongono allo Stato di potenziare questo scudo difensivo, e non piuttosto di continuare ad ignorarlo, come purtroppo verificatosi negli ultimi decenni. Lei ha sostenuto che l’introduzione del numero 112 di emergenza non deve comportare l’annullamento dei numeri di emergenza nazionali, tra cui, al primo posto, il 118. Come mai?
In emergenza il tempo è vita. Lo stabilisce la biologia umana. In corso di arresto cardiaco improvviso, per ogni minuto che passa, si perdono il 7-10 per cento di possibilità che il cuore possa ripartire. In caso di ictus ischemico, per ogni minuto che passa dal momento dell’insorgenza, in attesa di una eventuale trombolisi, si perdono 2 milioni circa di neuroni, 14 miliardi di sinapsi e 12 km almeno di fibre nervose. E’ evidente che non deve esservi alcuna perdita di tempo nel ricevere i soccorsi o nel rimbalzare una richiesta di soccorso da una centrale operativa all’altra. In questo senso, ‘Unione Europea ha sancito – chiaramente - la possibilità di conservare l’accesso diretto dei cittadini di ciascun Paese membro ai numeri di emergenza nazionali, il 60% dei paesi dell’Unione ha conservato i propri numeri di emergenza nazionali, il regolamento dell’Unione Europea del dicembre 2022, ha chiarito che la chiamata del cittadino utente deve essere immediatamente veicolata alla Centrale Operativa più appropriata (cit. “lo PSAP più idoneo”) per la risoluzione del problema, e le linee guida scientifiche continentali di European Resuscitation Council hanno bocciato senza mezzi termini nel 2021 e per la seconda volta, a soli quattro anni di distanza, il modello che si vuole introdurre in Italia, ossia quello del numero unico 112 che “spegne” l’accesso diretto della popolazione alle Centrali Operative 118 e allunga i tempi di risposta all’emergenza perdendo minuti preziosi. Vede un Sistema 118 integrato o distinto rispetto all’area critica ospedaliera ?
Entrambi i concetti sono appropriati e già coesistono. Da un lato, il Sistema 118 è territoriale, inquadrato a livello legislativo, più precisamente dai LEA, nel distretto. E’ quindi una macrostruttura nettamente distinta, sia sul piano strutturale sia riguardo l’autonomia gestionale, dal contesto ospedaliero. Dall’altro, il 118 è funzionalmente relato, per continuità di percorso gestionale, alla rete ospedaliera di emergenza, rappresentando il cardine operativo ed il volano di tutti i percorsi di rete previsti per le patologie acute tempo dipendenti. Quindi, integrazione si, ma intesa esclusivamente quale reciproco completamento di percorso funzionale, non certo come invasione o annessione o sottomissione del Sistema 118 da qualsivoglia parte ospedaliera. Questo deve essere chiaro. Cosa pensa della figura del “medico unico” dell’emergenza, ossia in grado di potersi utilizzare sia nel Sistema di Emergenza Territoriale 118 sia in Pronto Soccorso?
Non esiste in nessun’altra disciplina la definizione di “medico unico”. Le faccio un esempio. Non esiste un “cardiologo unico”. All'interno di questa specialistica c’è il collega cardiologo che fa l’emodinamista ed il collega che si occupa di aritmologia e chi si occupa di UTIC, ma non sono certo “medici unici” pur essendo tutti “cardiologi”. Stesso discorso vale per la Medicina di Emergenza, declinata nelle specificità del medico di emergenza territoriale. Rappresentanze di medici ospedalieri dichiarano pubblicamente che i medici convenzionati del 118 devono essere sostituiti da medici specialisti ospedalieri. Qual è il parere della SIS118?
I medici convenzionati del 118 salvano ogni giorno da oltre trent’anni innumerevoli vite umane, in ogni territorio, in ogni angolo del Paese. Sono, quindi, secondo quanto stabilito dalla legge, in grado di gestire in modo appropriato ed efficace le emergenze. E ancora una volta voglio ricordare il ruolo svolto nei periodi più drammatici della pandemia da Covid-19, o in tutti gli eventi catastrofici naturali verificatisi a livello nazionale, come il terremoto dell’Abruzzo o quello delle Marche. È difficile pensare ad una risposta rapida durante le grandi emergenze senza il 118. - (PRIMAPRESS)