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Dopo gli Usa potrebbe essere l'Italia a praticare il quarto trapianto di pene della storia clinica

(PRIMAPRESS) - ROMA - L’Italia potrebbe essere il secondo paese al mondo a praticare il quarto trapianto di pene della storia clinica. E’ l’ipotesi che potrebbe prendere corpo durante la tavola rotonda del Congresso Frontiers in Genito-Urinary Reconstruction che IN CORSO a Roma al Policlinico di Tor Vergata dove i massimi esperti mondiali si confronteranno su questo delicato tema. Intervento ancora raro ma con una lista di candidati vastissima: sono infatti migliaia gli uomini che vivono senza il pene. Le cause di amputazione infatti sono svariate: dai traumi pelvici (sul lavoro, automobilistici ecc.) alle infezioni, spesso conseguenza di circoncisioni finite male specialmente nei paesi africani, sino al tumore del pene che nei casi più gravi vede l’amputazione dell’organo come opzione standard per salvare la vita del paziente e diminuire il rischio di recidive.“Quella del trapianto è una richiesta destinata ad aumentare sia per i pazienti con patologie congenite o pazienti post trauma e sia nei pazienti con tumore del pene che sebbene sia raro (rappresenta meno dell’1% di tutti i tumori) vede una crescita dei casi a causa della diffusione delle malattie a trasmissione sessuale: i condilomi ad esempio aumentano il rischio da 3 a 5 volte e l’infezione da HPV è responsabile del 30-40% dei casi” spiega il Professor Salvatore Sansalone, Co-Presidente e Direttore Scientifico del Congresso e Direttore del Centro di Chirurgia Genito-Urinaria della Clinica Sanatrix di Roma.Nei primi tre casi di trapianto del pene trattati nel mondo ci sono voluti più di tre anni per sviluppare il protocollo, studiare l’intervento, superare le problematiche di tipo etico. La procedura è nota come VCA o Allotrapianto Composito Vascolare, composito perché al contrario di ciò che avviene con organi interni dove i collegamenti del tessuto prevedono pochi punti di ancoraggio, un VCA prevede la connessione multipla di tessuti, muscoli, nervi, vasi sanguigni e pelle che deve funzionare sia per urinare che per l’attività sessuale e perché no, la procreazione, il che rende conto di una equipe composta da urologi, vascolari e chirurghi plastici.Un intervento estremamente complesso, spiega il Professor Sansalone: “oltre ad una numerosa equipe di vari specialisti che deve funzionare come una orchestra di altissimo livello è un intervento che dura molte ore. Altra difficoltà è quella di trovare un organo non solo compatibile ma che la famiglia del donatore sia disposta a cedere. Basti pensare che in un caso la famiglia ha accettato l’espianto solo con la promessa che al defunto sarebbe stata realizzata una protesi per la sepoltura. Ma è al termine dell’intervento che inizia l’avventura, un periodo post operatorio in cui è possibile che l’organo non attecchisca correttamente, venga rigettato dall’organismo del ricevente o non sia funzionante in maniera corretta”. Aspetti psicologici – “La complessità dell’intervento non è squisitamente chirurgica ma attiene anche ad una serie di aspetti psico-sessuologici da affrontare con un accurato counseling pre intervento per accettazione di un organo esterno: l’uomo australiano che nel 1998 ricevette il primo trapianto di mano ne chiese la rimozione tre anni dopo, e così per il paziente cinese, il primo trapianto di pene al mondo nel 2006  ha chiesto che gli venisse asportato il pene trapiantato dopo soli 30 giorni dall’intervento” conclude Sansalone.Curtis Cetrulo, uno dei massimi esperti nel mondo e autore del terzo trapianto, il primo negli Stati Uniti eseguito su Tom Manning (paziente oncologico) sta lavorando a nuove tecniche che potrebbero ridurre la quantità di farmaci antirigetto che assunti per lunghi periodi presentano il rischio di sviluppare gravi problemi renali e tumori. Le incognite da un intervento del genere sono infatti numerose: rischio di fallimento dell’intervento, rigetto dell’organo, infezioni, usura del pene e necessità di un secondo trapianto dopo alcuni anni, oltre ad una terapia immunosoppressiva a vita con rischi per la salute dei reni e tumori. “Negli Stati Uniti ai candidati al trapianto oltre i malati oncologici si aggiungono i veterani di guerra: secondo il Trauma Registry del Dipartimento della Difesa americano sono 1367 i soldati che hanno riportato ferite ai genitali nei teatri di guerra tra il 2001 e il 2013 [1]. Dei 1.367 soldati con ferite e traumi pelvici, 433, pari al 31,7% avevano subito una o più amputazioni. La maggior parte delle lesioni  da esplosione erano per i genitali esterni: scroto (55,6%), testicoli (33,0%), pene (31,0%) e uretra (9,1%) rispetto al 21% dei reni” ha dichiarato Cetrulo. - (PRIMAPRESS)