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The Counselor - Il procuratore di Ridley Scott, dal 16 gennaio nelle sale italiane con un cast stellare

The Counselor - Il procuratore di Ridley Scott, dal 16 gennaio nelle sale italiane con un cast stellare
(PRIMAPRESS) - ROMA - E’ tutta una questione di senso. E di scelte. All’apice delle riflessioni scaturite da tanta, tantissima carne messa al fuoco, è questo che lascia The Counselor. Ma qualcosa non convince. Sulla carta il film sembra inattaccabile. Una leggenda come Ridley Scott alla regia, un’altra come Cormac McCarthy alla sceneggiatura e un cast in cui figura praticamente metà della Hollywood più in vista. Possibile che tutto questo non sia abbastanza? Non lo è perché The Counselor non funziona come dovrebbe. La storia, primo script originale dell’autore di The Road e Non è un paese per vecchi, segue le vicende di un avvocato senza nome (il Counselor del titolo, interpretato da un Michael Fassbender mai così poco incisivo), che decide di utilizzare la sua posizione per partecipare ad un affare di droga per conto del malavitoso Reiner (Javier Bardem) e della sua spietata donna (Cameron Diaz). Verrà affiancato nell’operazione da Westray (Brad Pitt), che continuerà ad avvisarlo del fatto che da questo tipo di situazioni non si esce facilmente, una volta entrati. Naturalmente le cose non vanno come dovrebbero e l’avvocato finisce per cacciarsi in guai davvero seri con il cartello che opera in quella zona. La poetica di Cormac McCarthy, ben riconoscibile e sempre suggestiva e affascinante, fatta di parole cesellate e di un umorismo nero come la pece, torna ancora una volta a raccontare un mondo di infami, cinici e corrotti, che si muovono nell’America di frontiera divenuta terra arida e crudele, con abitanti (con)dannati ormai a un’esistenza svilita e senza speranza. Scott, e ancor più il suo celebre sceneggiatore, non fanno altro che ricordare a chi guarda che quel che passa sullo schermo non è che una piccolissima parte di un mondo ben più esteso e che non perdona. Un mondo in cui le scelte dei personaggi hanno apparentemente poca importanza e per questo non vengono mai motivate, ma solo operate. E’ in questo contesto degradante che vediamo scivolare l’avvocato Fassbender verso gli inferi in modo lento e implacabile, attanagliato dalle spire di una scelta che si rivela presto sbagliata. La consapevolezza che ha di essere un uomo affascinante e di successo nel mondo a cui appartiene è costretta a scontrarsi con la realtà di un universo altro, un universo nel quale non è nessuno. Il suo personaggio però, nonostante sia il protagonista, risulta inconsistente e privo di spessore, e sembra avere un unico scopo: quello di fare da collante tra un comprimario e l’altro, decisamente più incisivi di quanto non risulti il povero avvocato, ma intrappolati in dialoghi prolissi e a volte surreali che rappresentano allo stesso tempo il pregio e il limite del film. Dialoghi pulsanti, farneticanti e pieni di nonsense, potentissimi lì per lì, ma che alla fine rimangono sospesi a mezz’aria e non trovano un estuario in cui poter sfociare degnamente. Con il risultato che in una singola scena magari alcuni personaggi riescono anche ad essere convincenti (soprattutto Brad Pitt e Javier Bardem), ma in una visione d’insieme è come se rimanessero affacciati ad un’ipotetica finestra sul film, con i gomiti appoggiati sul davanzale della storia, seza mai entrare davvero nella vicenda di cui fanno parte. Ridley Scott è da sempre un grande fan di McCarthy e ora che è riuscito a mettere le mani sulla sua preziosa prosa gli lascia tutto lo spazio di cui lo scrittore ha bisogno per descrivere un pezzetto del suo universo putrido e dannato. Però la mano salda ed esperta del regista compie delle scelte stilistiche e figurative che non riescono a legare fino in fondo con quella narrativa operata dall'autore che aveva trovato nello stile dei Coen una perfetta controparte cinematografica (in Non è un paese per vecchi sceneggiatura e regia sono l’una il naturale proseguimento dell’altra), non ha potuto ricreare con Scott quella stessa alchimia. Una colpa di difficile attribuzione. Poi il film finisce. E si torna al senso e alle scelte, con il primo che dovrebbe motivare le seconde. Forse in un mondo normale, non certo in quello di Cormac McCarthy.  - (PRIMAPRESS)