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Web Tax al via dal 1° gennaio 2019

(PRIMAPRESS) - Con il via libera definitivo alla legge di Bilancio 2018, arrivato dal Senato lo scorso 23 dicembre, ha trovato finalmente luce la tanto attesa imposta sulle transazioni digitali. Meglio nota come Web Tax, l’imposta è stata introdotta per contrastare l’azione dei grandi colossi dell’industria digitale (vedi Apple, Google, Facebook o Amazon, per finire a Netflix e Spotify, solo per citarne alcuni), accusati di sfuggire al richiamo del Fisco nostrano facendo leva su regole fiscali carenti, a livello internazionale, in materia di digital economy, siglando accordi fiscali con Paesi in grado di garantire un livello di tassazione vantaggioso (vedi Irlanda e Lussemburgo) a strutture societarie da cui promanano meccanismi di licenze e sub-licenze su proprietà intellettuali, utilizzati per drenare materia imponibile da veicolare in giurisdizioni a fiscalità privilegiata.

In un contesto internazionale che si presenta particolarmente ostile, vuoi perché gli interessi in gioco delle principali anime di questa disputa (Stati Uniti, in quanto “casa madre” delle principali multinazionali del digitale, e l’Unione Europea, quale prioritario mercato di vendita) non sempre coincidono e vuoi perché i lavori ausiliari in materia di tassazione digitale sviluppati dall’Ocse e dalla Commissione Europea non vedranno una concreta realizzazione (verosimilmente) prima del 2020, l’Italia ha deciso di muoversi in anticipo. Ecco che, dopo gli infruttuosi tentativi degli anni scorsi (con la Google Tax), il Governo ha dato finalmente seguito alle dichiarazioni fatte in occasione dell’Ecofin di settembre a Tallin (si ricorderà l’iniziativa congiunta con i Ministri delle Finanze di Germania, Spagna e Francia) a sostegno di una proposta comune per la tassazione delle imprese dell’economia digitale.Il testo di legge approdato al Senato per l’approvazione definitiva, ha dunque definito i contorni della nuova norma che troverà applicazione a partire dal 1° gennaio 2019. Da tale data, le imprese residenti e gli altri soggetti passivi d’imposta (lavoratori autonomi e professionisti, con esclusione dei contribuenti minimi e forfettari), nonché le stabili organizzazioni in Italia di imprese non residenti, in qualità di committenti di prestazioni di servizi effettuate mediante mezzi elettronici, saranno chiamate ad intervenire, in qualità di sostituti di imposta, nella riscossione di un’imposta calcolata con un’aliquota del 3 per cento sul valore di ogni singola transazione (con obbligo di rivalsa sui soggetti prestatori). Il corrispettivo dovuto, che sarà trattenuto dal prezzo finale in fattura, sarà calcolato al netto dell’imposta sul valore aggiunto, e sarà versato dal sostituto entro il giorno 16 del mese successivo a quello di pagamento della transazione. È previsto inoltre che l’operazione assuma rilevanza indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione: in tal modo si cercano di superare quelle difficoltà che avevano portato ad una situazione di impasse a livello internazionale, per quanto riguarda l’individuazione del luogo di esecuzione della prestazione (e quindi, del luogo di tassazione) e la constatazione di stabile organizzazione “virtuale” sul territorio dello Stato. L’unico limite posto dalla norma è legato al volume delle transazioni effettuate in un anno solare, che, se inferiore alle 3.000 unità in capo al prestatore, lo esonera dagli adempimenti della disciplina (dispensa da comunicare, a carico dello stesso prestatore, contestualmente all’invio della fattura).Nel corso dei vari passaggi parlamentari, la Web Tax ha subito una serie di correzioni. Il testo definitivo è stato rimodulato con un’aliquota che è stata ridotta dal 6 al 3 per cento, eliminando ogni compito di monitoraggio e di intervento in capo all’Agenzia delle Entrate, riducendo l’ambito applicato alle sole transazioni B2B (tra soggetti passivi d’imposta) e non più B2C (nei confronti dei clienti privati), togliendo la possibilità per le imprese residenti di compensare l'imposta pagata con il meccanismo del credito d'imposta, rimuovendo l’aggiornamento del concetto di stabile organizzazione che lo avrebbe reso più malleabile su attività intangibles, e senza più alcun riferimento al settore dell’e-commerce e alle cessioni di beni. Ora, infatti, la nuova formulazione della norma fa riferimento ad una più ampia categoria di “servizi prestati tramite mezzi elettronici”, descritti come “quelli forniti attraverso internet o una rete elettronica e la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata di un intervento umano minimo e impossibile da garantire in assenza della tecnologia dell’informazione”. Bisognerà attendere il decreto attuativo del Ministero dell’economia e delle finanze, di emissione entro il 30 aprile 2018, per aver ben chiari alcuni punti che alla data odierna presentano rilevanti elementi di incertezza. In particolare ci si riferisce alla tipologia di servizi soggetti all’imposta, agli obblighi dichiarativi per il prestatore dei servizi, ai casi di esonero o, ancora, alla definizione delle modalità di versamento dell’imposta sulle transazioni digitali. Con l’introduzione della Web Tax, il Governo ha stimato un introito annuo pari a circa 190 milioni di euro, in deciso aumento rispetto alla iniziale stima di circa 114 milioni di euro, soprattutto grazie ai correttivi previsti nel testo di legge approvato dal Senato e nonostante la riduzione dell’aliquota introdotta in corso di esame del provvedimento da parte del Parlamento.

Andrea Elio Palmitessa, Associate CBA - (PRIMAPRESS)