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Riforma giustizia penale: l'unico vincitore è Mario Draghi nel nome del Recovery Fund

Riforma giustizia penale: l'unico vincitore è Mario Draghi nel nome del Recovery Fund
(PRIMAPRESS) - ROMA - Sulla riforma della giustizia penale appena approvata ieri in Consiglio dei Ministri dopo un tormentato dibattito, c’è ancora il tentativo tra partiti e movimenti della maggioranza di accreditarsi come i vincitori di una battaglia che ha sfiorato di far saltare gli equilibri di governo. Ma in fondo nessuno tra quelli che siedono nella maggioranza volevano un epilogo di questo tipo ed allora ha prevalso la mediazione spinta da un irremovibile Mario Draghi sulla necessità di incassare la riforma per incassare i fondi del PNRR. 
Ma nel gioco delle parti i leader dei partiti devono poter rivendicare una vittoria: lo fa Salvini che si dice soddisfatto di aver smontato la riforma Bonafede. "Oltre ai reati di mafia abbiamo aggiunto (...)il tema della violenza sessuale e dello spaccio di droga come reati particolarmente gravi”. Anche il M5S si intitola dei paletti messi su mafia, terrorismo e corruzione ma in fondo dovendo rinunciare alle centinaia di emendamenti che aveva presentato.
Al netto delle sfide politiche cosa prevederà la riforma proposta dalla ministra della giustizia Cartabia? Attualmente la riforma Bonafede, varata dall’ex governo giallo-verde ed entrata in vigore il 1 gennaio 2020: aveva abolito la prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Nessun termine, o “fine processo mai”, dopo la prima sentenza di condanna o di assoluzione. Che i tempi lunghi dei processi italiani siano un problema è noto: le stime più recenti oscillano tra 1.500 e 2.500 giorni per il completamento di un procedimento penale, una media molto più alta di Francia, Spagna, Germania tanto per fare un raffronto con altri paesi europei. L’obiettivo di Cartabia invece è stato di ridurre del 25% la durata dei processi penali. Questo punto ieri ha spinto il Consiglio superiore della magistratura a esprimersi contrario in una nota motivandola con le drammatiche ricadute che potrà avere sui processi in cui non ci sarà il tempo per portarli a compimento. Il punto di contrasto è proprio sull’efficienza di alcune procure che trincerandosi dietro le mancanze di personale ed informatizzazione dilatano i tempi delle sentenze.
La riforma che da Domenica 1 Agosto (la discussione in un giorno festivo spiega la necessità del premier Draghi di seguire il timing fissato per l'approvazione delle riforme chieste dall'UE)  approda in Aula in realtà non reintroduce la prescrizione ma ricorre al concetto di improcedibilità: tempi fissi - due anni dal ricorso in appello e uno dal ricorso in Cassazione - oltre i quali il processo non sarà, appunto, più procedibile e dunque si estinguerà. I termini sono prorogabili rispettivamente di un anno e di sei mesi per reati gravi o processi complessi.  - (PRIMAPRESS)