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La porta d'ingresso del coronavirus è il cavo orofaringeo. Una ricerca sull'enzima ACE2 dell'Università di Napoli

(PRIMAPRESS) - ROMA - La porta d’ingresso del coronavirus è il cavo orofaringeo. Secondo uno studio condotto da Maria Luisa Chiusano, professore di Biologia Molecolare dell’Università Federico II di Napoli e membro di The Big Data in Health Society, la presenza di livelli più alti dell’enzima ACE2  in alcuni tessuti, ed in particolare nella lingua, porterebbe ad ipotizzare che una possibile via di infezione da proteggere sia appunto il cavo orofaringeo.
La quantità di informazioni contenute nelle pubblicazioni scientifiche permette di effettuare quella che viene definita “ricerca secondaria” o desk research, ovvero formulare nuove ipotesi e proporre soluzioni a problemi importanti usando come “mattoni”  risultati ottenuti in precedenza ma non ancora collegati fra di loro.
La ricerca di Chiusano parte dall’osservazione che l’ACE2, un enzima associato alle funzioni renali, cardiovascolari e della fertilità,  è un recettore funzionale per il coronavirus (ovvero ne permette l’entrata nelle cellule quando presente sulla loro membrana), è andata ad analizzare l’effetto di vari medicinali sul meccanismo di regolazione della pressione, meccanismo in cui la presenza e l’espressione dell’ACE2 è particolarmente importante.
L’osservazione base è che per la cura della pressione si hanno a disposizione varie opzioni, ma fra questa ve ne sono alcune che aumentano l’espressione di ACE2 sulle cellule (facilitando quindi l’ingresso del virus), mentre altre la diminuiscono, con un probabile effetto di smorzamento dell’infettività. Gli studi analizzati portano inoltre ad ipotizzare che un aumento dell’ACE2 libero nel plasma (e non sulla superficie delle cellule) possa neutralizzare i virus legandosi a loro prima che incontrino la cellula. Tale ipotesi andrebbe sottoposta ad attenta sperimentazione per capire se non si corra il rischio che il virus, presentandosi alla cellula legato all’ACE2, non possa essere facilitato nel superarne la parete. La presenza di livelli più alti di ACE2 in alcuni tessuti, ed in particolare nella lingua, porterebbe ad ipotizzare che una possibile via di infezione da proteggere sia appunto il cavo orofaringeo, in quanto è qui che potrebbe svolgersi la battaglia determinante del nostro corpo per fermare l’ingresso del virus. 
“Un’altra importante osservazione - aggiunge la ricercatrice di biologia molecolare - è che l’allarme sull’uso degli anti infiammatori nei pazienti che si presentano con sintomi di covid19 potrebbe essere legato alla proprietà di alcuni di essi di avere come effetti collaterali un aumento dell’espressione dell’ACE2 sulla superficie delle cellule. - (PRIMAPRESS)