Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin” e di Google Analytics. Clicca sul bottone "Accetto" o continua la navigazione per accettare. Maggiori informazioni
Skin ADV
×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 1035

I AM BEAUTIFUL con i Lautari al Teatro Massimo Bellini di Catania 

(PRIMAPRESS) - CATANIA - I AM BEAUTIFUL, dopo il successo di pubblico e critica del 10 novembre scorso all’Euro-Scene Festival di Lipsa, è in scena Teatro Bellini di Catania il 4 e 5 gennaio 2017.

Lo spettacolo costituisce il punto d’arrivo del progetto Transiti Humanitatis, avviato nel 2014 da Roberto Zappalà insieme alla sua compagnia, e comprende le produzioni Invenzioni a tre voci (2014), creazione dedicata alla donna, Oratorio per Eva (2014), omaggio alla figura simbolica di Eva, La Nona (2015), ispirato all’ultima sinfonia di Beethoven, (Premio Danza&Danza come Miglior Spettacolo dell’anno 2015).



A partire dal corpo, tutto incomincia e tutto si consuma ed esaurisce; e la bellezza del corpo considerato come santuario laico dell’umanità è un “pensiero” da difendere e incoraggiare in una contemporaneità dove bellezza, corpi e laicità sono sempre più oltraggiati.

Il titolo dello spettacolo è suggerito dalla scultura di Rodin che a sua volta è ispirata al primo verso di una poesia di Baudelaire La Beauté: «Je suis belle, ô mortels! comme un rêve de pierre ». Il sogno di pietra si trasfigura nel movimento attraverso una lingua che ha la sua grammatica e la sua sintassi nei nervi e nelle giunture, nei fremiti e nei sussulti.

In questo spettacolo Zappalà abbandona quasi del tutto ogni finzione drammaturgica per sviscerare ed esaltare fino in fondo il linguaggio della sua Compagnia. Quella di I AM BEAUTIFUL diventa così una danza che assume come categoria fondamentale quella della visceralità “intesa e vissuta come nel mondo contadino, cioè come qualcosa di familiare e quotidiano, naturale”. (da Soltanto di Jan Twardowski)

Le lingue in evidenza, i volti deformati, i corpi in disequilibrio o che sfidano la legge di gravità, all’interno di un disegno coreografico rigoroso e scenicamente scarnificato, sono alcuni “incidenti” che servono a fare arrivare la danza direttamente al sistema nervoso dello spettatore” (come, secondo John Berger, fa Bacon con la pittura) non al cervello, ma al sistema nervoso.

In I AM BEAUTIFUL la danza stessa parla in prima persona attraverso il corpo dei suoi interpreti; si dichiara bella e mentre afferma se stessa si rende conto che la bellezza che vorrebbe raggiungere non è mai una risposta o una soluzione ma sempre un interrogativo e una ricerca incessante.

È come se alla base di tutta la danza ci fosse un principio d’incertezza che è parte della sua bellezza. La contemporaneità del gesto coreografico che ne consegue consiste proprio nell’esaltare questa incertezza, questo tendere verso, piuttosto che affermare. In un viaggio di andata e ritorno dal palco agli spettatori e viceversa, i binari che portano a destinazione la danza dello spettacolo sono quelli della semplicità e del rigore, della visceralità e, appunto, dell’incertezza.




«Sulla scena definita da un cascame semicircolare di fili bianchi, s'intravedono, dietro, sospesi su tre piattaforme e appena illuminati, i componenti del gruppo folk-rock dei Lautari, la cui partitura musicale live dà l'avvio alla danza febbrile, viscerale, corale dei nove interpreti.

Divisa in tre parti, e lasciata ad un susseguirsi di liberi quadri, dopo l'inizio scandito da un suono percussivo ossessivo, la coreografia ha un momento centrale di quiete in cui, dopo aver ascoltato il canto di un antico, bellissimo, “Stabat Mater” contaminato in lingua siciliana, i danzatori avanzano lentamente in una semioscurità bluastra scandita da un suono cupo.

L'ensemble procede come una tribù, come un'umanità in divenire che, fremente, si riconosce, prende forma, si disgrega, si deforma, si compatta, si allontana, si ricompone tenendosi per mano in lievi girotondi – richiamo pittorico a “Le danzatrici” di Matisse –; si blocca in pose scultoree che citano statue celebri; avanza ritmicamente fra tremiti e sussulti; ondeggia in squilibri mentre si spezzano i legami umani; protende le braccia per tenersi uniti e non perire; si libera in una danza energica.

Un rito sacro, per Zappalà, che ha la sua consistenza nell'atto di guardare, come ci suggeriscono due danzatrici in proscenio declamando un testo in francese: «l'arte di guardare è una forma di preghiera. Un modo per avvicinarsi all'assoluto, senza mai riuscire a entrarci». Si entra infine in un universo luminoso con l'improvviso accendersi di fari puntati verso l'alto, e con la danza che, in una vertigine dei sensi, esplode al suono trascinante delle chitarre elettriche.

Step che segna un'ulteriore tappa – forse non ultima – verso quella sorta di umanesimo globale che il coreografo catanese continua a perseguire con passione mediterranea». Giuseppe Di Stefano, ilsole24ore.com




«È una appassionata dichiarazione d’amore alla danza I Am Beautiful. Chi dice I am Beautiful è la danza stessa e tutto parte da una statua di Rodin dove un uomo sostiene con le braccia e le spalle una donna nuda accovacciata. Singolare composizione (che per un attimo nello spettacolo viene citata) e che ispirò a Baudelaire la poesia La Beauté: “je suis belle, o mortels, comme un rève de pierre”.

Parte di lì lo spettacolo che si apre con una sezione che va diritto ai nervi dello spettatore. I nove protagonisti, in candida biancheria, si lanciano in una danza forsennata e tribale, sottolineata dal battito ossessivo delle percussioni. Il fondale della scena è delimitato da un bianco tendaggio di fili dietro il quale s’intravede, sistemati su tre piani diversi, la band dei Lautari che esegue la musica live.

Non c’è solo bellezza, ogni estetismo è rifiutato, c’è tutta l’umanità qui: smorfie, corpi deformati, disequilibri. Due ragazze si portano in proscenio e citano un testo per ricordarci che «l’arte di guardare è una forma di preghiera. Un mezzo per avvicinarsi all’assoluto».

Mentre la danza torna a farsi intensa e tonica, sottolineata dalle chitarre elettriche alla Pink Floyd, lo spettacolo si avvia verso la fine». Sergio Trombetta, La Stampa. - (PRIMAPRESS)