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Dal 23 aprile torna nl Museo Archeologico Nazionale di Parma la piccola mummia di gatto dall’'Antico Egitto

(PRIMAPRESS) - PARMA - La piccola mummia di gatto conservata al Museo Archeologico Nazionale di Parma non è un feticcio o un prodotto di bassa lega ma un "manufatto" di prima qualità.  Le radiografie effettuate nel 2011 hanno accertato la presenza all’interno della fasciatura dell’intero animale, un giovane esemplare dell’età di 4 o 5 mesi, risalente a circa 2000 anni fa. Questa scoperta qualifica di per sé il reperto di Parma: non è raro infatti che gli involucri di mummie di gatto non contengano il corpo completo ma solo una sua parte, se non parti di altri animali o addirittura nulla, limitandosi ad essere semplici fantocci, senza alcun contenuto.
Esposto per la prima volta tre anni fa, il micetto mummificato torna a grande richiesta a mostrarsi al pubblico dal 23 aprile al 4 maggio 2014 negli orari di apertura del museo (ingresso € 4,00). Al felino e agli altri animali dell'antico Egitto la studentessa in archeologia Sonia Avella dedica sabato 3 maggio, ore 16, la visita guidata gratuita “Cani, gatti e …coccodrilli” Pur non essendo una rarità, la mummia di gatto è un reperto di grande importanza, legato ai culti della dea gatta Bastet, la divinità egizia propiziatrice di fertilità, salute e gioie terrene. Qualla di Parma fu acquistata da un antiquario nel XIX secolo insieme alla maggior parte degli altri manufatti della collezione egizia del museo.
Protettore della casa, amatissimo dagli Egizi per la sua abilità di cacciatore di topi, a partire dalla XXII Dinastia (945-715 a.C.) il gatto inizia ad essere considerato incarnazione degli dei e l’esemplare femmina, in particolare, il rappresentante in terra della dea Bastet. Templi a lei dedicati cominciano a sorgere in tutto l'Egitto, primo fra tutti quello costruito nella città di Bubastis, lungo il Nilo, nel Basso Egitto. Nei primi tempi, al momento della morte, il gatto veniva mummificato e sepolto all’interno del tempio in fosse comuni ma a partire dal III sec. a.C. si comincia ad allevare appositamente gli animali vicino ai templi per farne mummie che i devoti acquistavano per lasciarle nei templi come offerte. Gli scavi archeologici hanno recuperato migliaia di mummie di gatti morti prematuramente o in maniera innaturale, soprattutto micetti tra i due e i quattro mesi di età, sacrificati in gran numero perché più adatti alla mummificazione.
Secondo l’archeologa della Soprintendenza Roberta Conversi questo è certamente il caso della mummia-gatto del Museo di Parma. Il reperto è di accurata realizzazione ed elevata qualità; all’interno del bendaggio c’è l’intero corpo del gatto mentre non è infrequente trovare solo una parte dell’animale, se non pezzi di un altro o addirittura il semplice fantoccio, senza nulla dentro.
Le bende sono disposte in modo da formare motivi geometrici mentre gli occhi sono dipinti con inchiostro nero, su piccoli pezzi tondi di benda di lino.
I mercati egizi offrivano vari modelli di mummie-gatto realizzati per soddisfare le richieste dei clienti devoti, dalle versioni “economiche”, che potevano contenere solo una parte dell’animale o addirittura essere involucri vuoti, a mummie di alta qualità, molto curate, con animali interi e bendaggio dipinto.
Il reperto del museo di Parma fa certo parte dei “modelli” più preziosi, acquistato da un egiziano devoto a Bastet che, recandosi al tempio, ha scelto una mummia di gatto di prima qualità, e quindi anche di un certo costo, per offrirla alla Dea.
Le radiografie eseguite nell'estate 2011 dal Prof. Giacomo Gnudi, veterinario radiologo del Dipartimento di Salute Animale dell’Università di Parma, hanno mostrato che il gatto è stato fasciato in modo da occupare il minor spazio possibile, con le costole compresse e gli arti anteriori posti molto vicino al torace; una frattura/foro nel cranio sembra inoltre confermare l’ipotesi di una morte innaturale
Tutti i dati, archeologici e radiologici, hanno concorso a rendere la mummia di gatto del Museo Archeologico Nazionale di Parma un reperto di grande importanza e interesse scientifico. L’auspicio della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna è che qualcuno si faccia avanti per supportare il delicato intervento restauro indispensabile alla sua futura esposizione - (PRIMAPRESS)