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The Parade, dal gay pride serbo una riflessione sui diritti civili in una terra violentata

(PRIMAPRESS) - ROMA – I diritti civili potrebbero sembrare l’ultima delle preoccupazioni in una terra che non ha ancora superato gli strascichi della più recente guerra europea. L’ex Jugoslavia porta i segni di quella guerra fratricida, che ha lacerato per sempre un tessuto sociale fatto di convivenza, come può dunque rappresentare un momento importante per il rispetto di cause, come quella dell’omosessualità, che sembrano secondarie? A rendere possibile questa crescita, almeno sulla pellicola, è The Parade (Parada in lingua originale), il film di Srdjan Dragojevic che affronta la voglia e la necessità di sfilare sicura per le strade espressa dalla comunità gay serba. La chiave per rendere più accettabile una violenza del tutto quotidiana, reale, cruda, è una commedia, dove un ex militare omofobo, Limun, si trova a dover realizzare la scorta del gay pride grazie ad un surreale susseguirsi di eventi che partono con il ferimento del suo cane, curato da un veterinario gay partner del leader del movimento nonché wedding planner incaricato di organizzare proprio il matrimonio di Limun su incarico della fidanzata Biserka. Quest’ultima diventa la vera leader del variopinto gruppo, decretando forse l’ennesimo capovolgimento dei valori di una cultura omofoba, ovvero il lasciare il ruolo di comando ad una donna. Parada  La sfilata Ci sono tutti gli elementi per rappresentare da vicino un movimento davvero a rischio come quello omosessuale in Serbia, attaccato violentemente anche dalla chiesa ortodossa, tratteggiandone i caratteri più comuni ma anche quelli più toccanti. Allo stesso tempo The Parade, tradotto in italiano come La Sfilata, è l’ennesimo ritratto dei Balcani come non vorremmo che fossero, come abbiamo fatto finta di ignorare per tanto tempo presi da lotte politiche di corridoio quando a due passi da noi si consumavano eccidi inimmaginabili per la civile Europa. Nei racconti e nelle “reliquie” che Limun tiene ancora in casa c’è tutta la violenza e il sangue che è scorso copiosamente nella ex Jugoslavia, che cerca tuttavia di uscire da questo passato e, perché no, lo fa anche con la volontà di esporsi dei movimenti gay. Il messaggio iniziale, conciso ma sorprendentemente efficace, delinea i contorni della storia con i termini dispregiativi usati da alcune comunità contro un’altra (i più noti alle nostre orecchie sono Cetnico per i Serbi e Ustascia per i Croati) che però si ritrovano tutte unite nel termine comune di Peder (checca) per offendere gli omosessuali. Un tema che Dragojevic traccia nel resto del film riuscendo a invertirlo, tanto che Limun – abbandonato dai suoi amici di Belgrado – parte alla ricerca dei suoi ex nemici Croati, Bosniaci e Albanesi del Kosovo in compagnia del veterinario gay per formare una squadra di picchiatori pronti a difendere la sfilata del gay pride. Una sorta di viaggio nella memoria e nella redenzione, per un futuro possibile (forse), in cui Limun – il bravissimo Nikola Kojo – viaggia su una mini rosa confetto nella Jugoslavia di oggi, in cui ex nemici si rincontrano mentre padri e figli si allontanano. Un film decisamente bello, che senza scomodare inutili paragoni con Kusturica dà conto di una terra tanto vicina fisicamente quanto lontana nella nostra mente, che forse non conosciamo affatto. Per farlo ci offre anche uno spaccato sui movimenti gay che affrontano quotidianamente la violenza fisica e non solo quella degli sguardi di disapprovazione. E forse anche questa è una lezione per le sterili polemiche di corridoio che parlano di lobby ma dimenticano le persone. Un errore grave sia di chi è estraneo alle lobby stesse quanto di chi ne fa parte. - (PRIMAPRESS)